Grantor Trust Americani alla prova della Circolare 34/E del 2022

Con il presente articolo affrontiamo un tema particolarmente complesso, relativo alla modalità di trattamento fiscale dei Grantor Trust Americani qualora il disponente si trasferisca in Italia. La materia è stata infatti da ultimo novellata dalla Circolare n. 34/E del 20 Ottobre 2022, la quale ha previsto delle specifiche conseguenze per i trust interposti in tema di imposte indirette.
Vediamo quali.
    


La Circolare 34/E del 20 Ottobre 2022 ha apportato importanti novità nell'ambito dell’interpretazione normativa sui Trust, molte delle quali sono senz'altro positive. Un punto su cui, invece, la dottrina ha espresso molte perplessità riguarda il trattamento fiscale del Trust interposto, ed in particolare gli effetti dell'interposizione nei Trust ai fini delle imposte indirette.
Il passaggio della Circolare 34/2022 cui ci stiamo riferendo, che è contenuto nel paragrafo 3.4 - L'interposizione nel Trust, è il seguente:
 
"Coerentemente con quanto appena illustrato, nell’ipotesi di decesso del soggetto disponente, tenuto conto della interposizione del trust tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust, qualificato come interposto."
 
Questo passaggio introduce un elemento di novità: laddove sia presente un trust interposto, i beni in esso presenti sono assoggettati ad imposta di successione nel momento in cui muore il disponente.
 
TRUST INESISTENTI IN QUANTO INTERPOSTI
 
Il punto di partenza dell’analisi riguarda il concetto di trust interposto ed in tal senso possiamo prendere a riferimento la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 61/E del 27 Dicembre 2010, la quale delinea una serie di casistiche in cui un trust debba considerarsi “inesistente in quanto interposto”.
Che cosa significa che un trust è “inesistente in quanto interposto”?
Per capire questo punto, dobbiamo introdurre due concetti:
1)  il concetto di esistenza/inesistenza giuridica del trust, che riguarda la validità civilistica del trust e la sua riconoscibilità ai fini della Convenzione dell’Aja.
2)  il concetto di esistenza/inesistenza fiscale del trust.
Un’analisi sistematica delle problematiche connesse a questi due concetti è oltre lo scopo del presente lavoro. È necessario tuttavia fare una basilare (e sotto certi aspetti, semplicistica) sintesi sul punto per permettere al lettore di orientarsi.
Potremmo definire “inesistenti dal punto di vista giuridico” tutti quei trust che sono caratterizzati da chiari aspetti patologici, del tipo:
-      l’effetto segregativo dei beni apportati in trust non si è mai realizzato;
-      il trustee è solo un prestanome che è stato privato delle proprie prerogative tipiche, rimanendo assoggettato ed in tal senso eterodiretto, dal disponente o dai beneficiari.
Il concetto di “inesistenza fiscale” del trust può, per contro avere due profili:
-      il profilo delle imposte sui redditi;
-      il profilo delle imposte indirette.
Secondo il primo profilo, un trust è considerato inesistente dal punto di vista fiscale delle imposte sui redditi laddove non è riconosciuto quale soggetto passivo di imposta, con la conseguenza che i redditi sono attribuibili in capo al soggetto interponente, disponente o beneficiario che sia. Per capire questo concetto possiamo richiamare la circolare 61/E sopra menzionata, la quale ha introdotto una serie di casistiche specifiche di interposizione (rectius inesistenza dal punto di vista delle imposte dirette) a causa delle quali l’Agenzia delle Entrate qualifica determinati trust come privi di soggettività fiscale passiva. Ad esempio, secondo le specifiche indicazioni della circolare 61/E, se e laddove il disponente o il beneficiario decidessero di riservarsi delle facoltà o alcuni poteri decisionali sul trust fund o sulla durata del trust medesimo, o comunque mantenessero anche indirettamente un potere di ingerenza sul trustee, l’Agenzia non riconoscerebbe tali trust come soggetti passivi di imposta, in tal modo facendo confluire tutti i redditi prodotti dai beni in trust in capo al disponente o ai beneficiari ed imponendo ai medesimi di dichiararli ai fini delle imposte sui redditi.
Ora, è importante far notare che:
-      tutti i trust giuridicamente inesistenti sono sempre anche privi di soggettività passiva fiscale e dunque anche interposti ai fini dei redditi.
-      esistono, però, dei trust esistenti da un punto di vista giuridico che rispettano i criteri di validità civilistica e le norme di riconoscibilità di cui alla Convenzione dell’Aja, che posseggono alcune caratteristiche delineate nelle indicazioni della circolare 61/E e sono tali da essere considerati interposti ai fini delle imposte dirette.
Ed il concetto di inesistenza fiscale ai fini delle imposte indirette come si declina?
Possiamo dire, seguendo il precedente schema, che un trust che si qualifichi come giuridicamente insistente sarà inesistente anche fiscalmente sia ai fini delle imposte dirette, sia ai fini delle imposte indirette: pertanto i beni in trust dovrebbero cadere in successione al momento della morte di questo.
Possiamo affermare dunque che:
I trust interposti in quanto giuridicamente inesistenti sono sempre:
-      inesistenti fiscalmente ai fini delle imposte sui redditi, cioè privi di soggettività fiscale: i redditi sono sempre attribuiti all’interponente;
-      inesistenti fiscalmente ai fini delle indirette: i beni in trust dovrebbero cadere in successione alla morte del disponente.
Ci sono però trust giuridicamente esistenti e validi civilisticamente che:
-      non rispettano alcuni requisiti di cui alla circolare 61/E e sono qualificati dall’Agenzia delle Entrate come inesistenti fiscalmente ai fini dei redditi;
-      ci domandiamo ora: che succede a questi trust ai fini delle imposte indirette al momento della morte del disponente? Prevale la validità giuridica del programma negoziale del disponente (stante la validità civilistica del trust) oppure la qualificazione di inesistenza fiscale ai fini dei redditi trascina con sé anche l’inesistenza fiscale ai fini delle imposte indirette?
 
Finora, la tesi prevalente, confermata dalla Risposta n. 359/2022 dell’Agenzia delle Entrate era che prevalesse la validità giuridica del trust, creandosi un doppio binario fiscale con diversi esiti per le imposte sui redditi e le imposte indirette.
L’interpello n. 359/2022 recitava infatti:
“Al riguardo, assume rilievo la circostanza che al momento del decesso del Disponente la quota di partecipazione nella Società [il bene in trust] non faceva parte del patrimonio dello stesso in quanto segregata nel Trust e " non è civilisticamente caduta in successione".
Pertanto, nel presupposto che, sotto il profilo civilistico, le partecipazioni in questione non siano cadute in successione, ma facciano tuttora parte del patrimonio segregato nel Trust e che il Trustee risulti il titolare della predetta quota di partecipazione di socio accomandante nella Società, nel rispetto del vincolo di destinazione impresso dall'Atto istitutivo del Trust medesimo, si ritiene, ai fini della presentazione della dichiarazione di successione e della determinazione della relativa imposta, che la predetta quota non debba essere ricompresa nell'attivo ereditario del de cuius.
Nel caso di specie, la circostanza che il Trust "non può essere considerato validamente operante sotto il profilo fiscale" rileva ai soli fini dell'imputazione dei redditi, comportando che, come risulta dalla stessa risposta, "i redditi formalmente prodotti dal Trust saranno assoggettati a tassazione in capo al Disponente".
Dunque, secondo la risposta 359/2022, un trust con validità giuridica che fosse qualificato come “non validamente operante sotto il profilo fiscale” era da considerarsi tale solo “ai fini dell’imputazione dei redditi”, rimanendo valide le disposizioni negoziali indicate nel trust circa la destinazione dei beni in trust alla morte del disponente: i beni in trust non cadevano in successione e non scontavano imposta di successione.
 
La novella introdotta dalla circolare 34/E sembra, invece, cambiare paradigma: nel postulare l’applicazione dell’imposta di successione ai beni in trust al momento della morte del disponente per tutti i “trust interposti” l’Agenzia delle Entrate non pare riferirsi ai trust interposti perché giuridicamente inesistenti, ma pare riferirsi proprio ai “trust interposti ai fini delle imposte sui redditi” (che, come detto sopra, sono una categoria ben più ampia).
Pertanto, secondo la circolare 34/E, il trust è interposto ai fini delle indirette qualora lo sia ai fini delle imposte sui redditi. Da questa “equalizzazione” del concetto di interposizione tra imposte dirette ed imposte indirette discende, però, giocoforza che ogni trust interposto ai fini delle imposte dirette sia anche un trust inesistente dal punto di vista giuridico.
Infatti, se i beni del trust interposto cadono in successione alla morte del disponente, ciò significa che il programma negoziale indicato dal disponente nell’atto di trust è invalido civilisticamente ed è a seguito di questa invalidità che entrerebbero in gioco le usuali norme successorie e la conseguente imposta di successione.
 
TRUST ESTERI FISIOLOGICAMENTE INTERPOSTI: I GRANTOR TRUST
 
Questa “supposta” inesistenza giuridica del trust qualificato come interposto ai fini delle imposte sui redditi è un problema di portata notevole quando ci troviamo di fronte al caso di trust esteri il cui disponente sia residente fiscalmente in Italia. In taluni casi, infatti, questi trust esteri hanno caratteristiche tali da poter essere considerati come interposti dal punto di vista delle imposte sui redditi perché non rispettano uno o più delle indicazioni tipiche di interposizione della circolare 61/E, ma nell’ordinamento estero in cui sono stati costituiti, tali caratteristiche sono perfettamente normali e fisiologiche dal punto di vista civilistico.
 
Un caso tipico di trust aventi queste caratteristiche di interposizione sono i Grantor Trust: essi sono spesso presenti in paesi di Common Law, come gli Stati Uniti e l’Australia. Il Grantor Trust è una tipologia di trust tramite la quale il disponente (grantor) apporta dei beni in trust, nominando nell’atto istitutivo del trust sé stesso come trustee ed anche come beneficiario, per tutto il tempo in cui lo stesso disponente rimarrà in vita.
Dopo la morte del disponente il Grantor Trust cambia però “natura”: nell'atto istitutivo di trust è stabilito, infatti, che alla morte del disponente la qualifica di trustee sarà assunta da un altro soggetto e che saranno identificati i beneficiari del trust sia per il reddito, sia per il patrimonio. Il trust, in tal modo, alla morte del disponente si trasforma da “Grantor Trust” in “Non-Grantor Trust”: quest’ultimo è il trust dove si realizzerà effettivamente il programma negoziale e segregativo deciso dal disponente nell’atto istitutivo.
La logica del Grantor Trust è questa: il disponente vuole mantenere il controllo sui propri assets fino al momento della morte, ma utilizza lo strumento del trust per gestire in maniera flessibile e personalizzata il passaggio generazionale derivante dalla sua morte.
Pertanto questo tipo di trust comporta la presenza di una duplice fase:
- fase 1, del “Grantor Trust”: in questa fase il disponente rimane completamente “in charge of everything”, sia dal punto di vista civilistico, sia fiscale. I redditi prodotti dai beni in trust sono infatti attribuiti e tassati in capo al disponente anche per l’Ordinamento fiscale del Paese estero.
- fase 2, del “Non-Grantor Trust”: in questa fase, che scaturisce dalla morte del disponente, il programma negoziale previsto all’interno dell’atto istitutivo del Grantor Trust, viene a realizzazione, con i relativi effetti segregativi.
La domanda che ci poniamo è la seguente: come si gestisce un tale trust dal punto di vista fiscale in Italia qualora il disponente trasferisca nel “Bel Paese” la residenza?
Non ci sono dubbi su fatto che, finché il disponente è in vita, i Grantor Trust siano da considerarsi interposti in quanto inesistenti dal punto di vista delle imposte sui redditi.
Ma cosa succede alla morte del disponente di questi trust esteri? Si può dar corso al programma negoziale indicato nell’atto istitutivo del trust oppure, entrando in gioco la previsione di cui alla circolare 34/E, il trust è da considerarsi invalido dal punto di vista giuridico ed i beni in trust cadono in successione?
 
UN CASO PRATICO
 
Immaginiamo che un residente Americano costituisca un Grantor Trust Americano e, quando è ancora residente fiscalmente in America, conferisca nello stesso i seguenti beni:
-      alcuni conti detenuti presso Banche Americane, in cui sono presenti investimenti finanziari;
-      un immobile sito a Boston.
L'atto di Trust stabilisce che il disponente è anche trustee e beneficiario del trust, ma che all'atto della sua morte il trustee diventerà un soggetto terzo di sua fiducia e che i beneficiari a quel punto saranno:
-      la moglie ed i due figli del disponente;
-      un amico d’infanzia del disponente;
Dopo alcuni anni dalla creazione del trust, il disponente si trasferisce con la famiglia in Italia e ne acquisisce la residenza. Alla morte del disponente, che avviene in Italia, da residente Italiano e senza alcun testamento, possiamo prevedere due scenari a seconda di due possibili impostazioni dell’atto istitutivo.
 
PRIMO SCENARIO: L’ATTO ISTITUTIVO PREVEDE CHE IL TRUST ESTERO LIQUIDI I BENI AI BENEFICIARI.
 
In questo primo scenario ipotizziamo che l'atto istitutivo del trust preveda che al momento della morte del disponente il trustee del Non-Grantor liquidi immediatamente gli assets presenti all'interno del Trust e distribuisca il ricavato ai beneficiari.
In questo primo scenario il Non-Grantor trust esisterebbe solo per il tempo necessario a vendere i beni in trust ed a distribuire il relativo ricavato ai beneficiari indicati dal disponente.
Ovviamente questo scenario è ben diverso da quello previsto dalla circolare 34/E, secondo il quale i beni cadono in successione in quanto il trust è interposto; le differenze sono infatti le seguenti:
1)  I beneficiari del Non-Grantor trust non coincidono necessariamente con gli eredi legittimi del disponente, né qualitativamente, né quantitativamente;
2)  I beneficiari titolari di devoluzioni finali di patrimonio da parte del trustee pagano imposta di donazione e non imposta di successione, come prevedrebbe invece l’assunto della circolare 34/E;
3)  I beni ricevuti dai beneficiari del Non-Grantor Trust non sono trasferiti loro jure successionis, come invece avverrebbe in caso di successione.
 
SECONDO SCENARIO: L’ATTO ISTITUTIVO PREVEDE CHE IL TRUST ESTERO CONTINUI AD ESISTERE PER 10 ANNI DOPO LA MORTE DEL DISPONENTE.
 
In questo secondo scenario ipotizziamo che l'atto istitutivo preveda che il trust continui ad esistere anche dopo la morte del disponente per un periodo di 10 anni. L’atto di trust stabilisce altresì che dopo la morte del disponente:
-      il trustee terzo avrà la massima discrezionalità nel fare le distribuzioni di reddito e di patrimonio ai beneficiari;
-      che i beneficiari non hanno alcun potere di ingerenza sul trust, né sulla nomina o revoca del trustee, né tantomeno il potere di revocare il trust.
Considerando la totale discrezionalità del trustee e l’assenza di qualsivoglia ingerenza da parte dei beneficiari si può affermare che un tale trust si possa qualificare come opaco ai fini fiscali in Italia: pertanto con la nascita del Non-Grantor Trust viene meno l’interposizione fiscale ai fini delle imposte sui redditi del Grantor Trust precedente.
A questo punto, ci si pone la seguente domanda: ma cosa succede al momento della morte del disponente ai beni in presenti in trust?
Se applichiamo l’assunto della circolare 34/E, tutti i beni del trust cadono necessariamente in successione in quanto il Grantor Trust è interposto ai fini delle imposte sui redditi (si fa presente che il fatto che il disponente avesse la residenza fiscale in America al momento dell’apporto dei beni in trust non evita l'applicazione delle imposte indirette, in quanto questa esimente non si applica dato che nessun effetto segregativo si era prodotto al momento dell’apporto, essendo il trust interposto).
A questo punto ci troviamo però di fronte ad una situazione paradossale: seguendo la Circolare 34/E i beni cadono in successione in Italia in quanto il trust non esiste giuridicamente, mentre per l’ordinamento giuridico Americano il trust continua la propria vita senza alcun problema, sia dal punto di vista civilistico, sia fiscale. Sono evidenti i problemi emergenti da una tale situazione:
-      secondo l'ordinamento Americano è il trust il titolare e proprietario dei conti Americani dove sono presenti gli investimenti finanziari, ed è parimenti il trust il proprietario della casa di Boston;
-      secondo l'ordinamento Italiano, per contro, tutti i beni in Trust sono caduti in successione e gli eredi legittimi ne sono proprietari pro-quota.
Si verrebbe a creare in tal modo un cortocircuito tra gli ordinamenti giuridici Americano ed Italiano derivante del fatto che l’estensione al campo delle indirette del concetto di inesistenza fiscale, trascina con sé necessariamente anche l’inesistenza giuridica del trust per l’ordinamento Italiano, la quale va a cozzare con la piena validità giuridica del trust nell’ordinamento Americano.
 
LA PRASSI RECENTE: GLI INTERPELLI 176/2023 E 251/2023
 
Se andiamo ad analizzare la recente prassi in materia, la Risposta n. 176/2023 recepisce il cambio di rotta indicato nella circolare 34/E ed afferma espressamente che “il presente parere rettifica quello precedentemente reso con la risposta n. 359 del 2022 concernente l’applicazione dell’imposta di successione”.
Continua l’Agenzia:
“Nella predetta risposta ad interpello è stato concluso che il Trust in esame non può essere considerato validamente operante sotto il profilo fiscale, pertanto, in coerenza con la richiamata Circolare 34/2022 si ritiene che, a seguito del decesso del disponente (interponente), la predetta partecipazione debba essere inclusa trai beni e i diritti che formano oggetto della successione e che compongono l’attivo ereditario di cui all’art. 8 del D.Lgs. 346 del 1990”.
L’interpello in oggetto, dunque, conferma la novella indicata nella circolare 34/E e smentisce la precedente indicazione della già commentata Risposta n. 359/2022.
Molto interessante, tuttavia, è il recentissimo Interpello 251 del 2023.
Qui l’istante pone una serie di quesiti inerenti all’interposizione ai fini delle imposte dirette di un “Family Trust” Australiano.
Questi in estrema sintesi i fatti:
-     Il Family Trust è stato istituito in Australia nel 1979 dal padre (disponente);
-     l beneficiari del trust sono il disponente, sua moglie e i suoi tre figli;
-     Trustee è una società che è amministrata dallo stesso disponente;
-     Il patrimonio è costituito da immobili siti in Australia e da disponibilità finanziarie presso istituti di credito in Australia.
-     Dal 2014 il disponente trasferisce la residenza in Italia fino al giorno del decesso avvenuto nel 2019 in Italia;
-      Con il testamento, il disponente ha nominato due figli come suoi ''sostituti'' per l'esercizio delle funzioni relative al Family Trust, sostanzialmente attribuendo loro l'incarico di trustee.
-      Il disponente-de cuius, oltre ai beni inseriti all’interno del Family Trust, era proprietario a titolo personale anche di altri beni:
-      alcuni immobili;
-      delle quote della società che svolge l’incarico di trustee del Family Trust.
L’Agenzia delle Entrate, richiesta di un parere circa l’interposizione ai fini delle imposte sui redditi, precisa quanto segue:
“Con riferimento al Family Trust rilevano i seguenti elementi:
-      il Family Trust è una struttura meramente interposta rispetto al disponente, finché in vita, in ragione della contemporanea assunzione dei ruoli di Trustee, di Disponente e di Beneficiario… ;
-      l'Istante e il Figlio A, già Beneficiari del Family Trust, in sede di testamento sono stati nominati ''sostituti'' del de cuius per l'esercizio delle funzioni relative al Family Trust ovvero, nella sostanza, co-trustee del predetto trust.
Sulla base di quanto rappresentato, stante il ruolo di Beneficiario e di co-trustee, …, si ritiene che la natura di soggetto interposto del Family Trust in capo al disponente non muta nemmeno rispetto all'Istante subentrato nella posizione del de cuius”.
L’Agenzia giustamente qualifica il Family Trust come interposto ai fini delle imposte sui redditi, sia nei confronti del disponente, sia nei confronti dei beneficiari.
Il punto che rileva ai fini della nostra analisi è, però, il seguente passaggio:
 
“Ne consegue che:
[PUNTO A]
-      gli immobili acquisiti per successione a titolo personale dall'Istante rilevano ai fini delle imposte sui redditi secondo gli articoli 67, comma 1, lettera f), e 70 del Tuir, dell'IVIE, nonché ai fini degli obblighi di monitoraggio fiscale, a decorrere dalla data di apertura della successione;
-      le azioni della società estera che svolge l'incarico di trustee, acquisite per successione a titolo personale, rilevano ai fini delle imposte sui redditi e dell'eventuale IVAFE, nonché ai fini degli obblighi di monitoraggio fiscale, a decorrere dalla data di apertura della successione.
[PUNTO B]
Con riferimento ai beni in trust, in linea con quanto chiarito nelle sopra richiamate circolari n. 61/E del 2010 e n. 34/E del 2022, sia nel caso del Family Trust che nel caso del Testamentary Trust, il reddito di cui ''appare titolare'' il trust deve essere assoggettato ad imposizione, per ''imputazione'', pro quota direttamente in capo all'interponente residente in Italia secondo le categorie previste dall'articolo 6 del Tuir.”
 
L’Agenzia delle Entrate, pur non dicendolo esplicitamente, in questo passaggio indirettamente pare smentire l’assunto della circolare 34/E: infatti, se il Family Trust è interposto ai fini dei redditi e l’interposizione ai fini dei redditi vale anche ai fini delle imposte indirette, i beni inseriti nel Family Trust (di cui al [PUNTO B]) sarebbero dovuti cadere in successione, esattamente come gli immobili e le azioni detenute a titolo personale dal de cuius di cui al [PUNTO A], che sono invece “acquisite per successione a titolo personale da parte degli eredi.
L’applicazione “integrale” della tesi della circolare 34/E avrebbe, infatti, dovuto portare l’Agenzia ad affermare che tutti i beni presenti in nel Family Trust, in quanto interposto ai fini dei redditi, dovevano cadere in successione ed erano acquisiti per successione a titolo personale dagli eredi.
Invece l’Agenzia pare non riuscire a sostenere la tesi che i beni del Family Trust siano caduti in successione e ciò, a nostro avviso, è determinato dal fatto che gli stessi beni dal punto di vista civilistico sono validamente di proprietà del Family Trust per l’ordinamento Australiano, nonché presenti in Australia.
Si fa notare anche che:
- l’utilizzo al [PUNTO B] della formula “Con riferimento ai beni in Trust…” conferma che dopo la morte del disponente i beni sono ancora in trust, affermando dunque la validità giuridica del programma negoziale del trust.
- relativamente ai beni in trust, l’Agenzia delle Entrate si “limita” a sostenere che il Family Trust è interposto ai fini delle imposte sui redditi anche dopo la morte del disponente, cioè nei confronti dei beneficiari: in tal modo conferma che validità giuridica e interposizione ai fini delle dirette coesistono ma non comportano la caduta in successione dei beni in trust. Per contro, se i beni fossero caduti in successione non era necessario affermare che il Family Trust era interposto ai fini dei redditi, dato che i beni sarebbero già stati formalmente di proprietà degli eredi.
Il punto centrale ci pare essere che la validità giuridica del trust e del suo programma negoziale per l’ordinamento Australiano sembra “inibire” di fatto la caduta in successione dei beni in esso presenti, indipendentemente dalla sua qualifica di trust interposto ai fini delle imposte sui redditi.

Pertanto, per quanto il quesito non riguardi specificamente la caduta in successione dei beni in trust e per quanto l’Agenzia delle Entrate si è ben guardata dall’affrontare il tema di cosa succede ai fini delle indirette, sembrerebbe che il tenore della risposta sia da interpretarsi nel senso di una certa difficoltà ad applicare integralmente il postulato della circolare 34/E al trust estero, lasciando il tema comunque aperto a diverse interpretazioni che necessiteranno di un chiarimento.

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Enrico Povolo