Il passaggio della Circolare 34/2022 cui ci stiamo riferendo, che è
contenuto nel paragrafo 3.4 - L'interposizione nel Trust, è il seguente:
"Coerentemente con quanto appena
illustrato, nell’ipotesi di decesso del soggetto disponente, tenuto conto della
interposizione del trust tra i beni e i diritti che compongono l’attivo
ereditario di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n.
346 sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust,
qualificato come interposto."
Questo passaggio introduce un elemento di novità: laddove sia presente
un trust interposto, i beni in esso presenti sono assoggettati ad imposta di
successione nel momento in cui muore il disponente.
TRUST INESISTENTI IN QUANTO INTERPOSTI
Il punto di partenza dell’analisi riguarda il concetto di trust interposto
ed in tal senso possiamo prendere a riferimento la circolare dell’Agenzia delle
Entrate n. 61/E del 27 Dicembre 2010, la quale delinea una serie di casistiche
in cui un trust debba considerarsi “inesistente in quanto interposto”.
Che cosa significa che un trust è “inesistente in quanto
interposto”?
Per capire questo punto, dobbiamo introdurre due concetti:
1) il concetto
di esistenza/inesistenza giuridica del trust, che riguarda la validità
civilistica del trust e la sua riconoscibilità ai fini della Convenzione
dell’Aja.
2) il
concetto di esistenza/inesistenza fiscale del trust.
Un’analisi sistematica delle problematiche connesse a questi due
concetti è oltre lo scopo del presente lavoro. È necessario tuttavia fare una
basilare (e sotto certi aspetti, semplicistica) sintesi sul punto per
permettere al lettore di orientarsi.
Potremmo definire “inesistenti dal punto di vista giuridico” tutti
quei trust che sono caratterizzati da chiari aspetti patologici, del tipo:
-
l’effetto segregativo dei beni apportati in
trust non si è mai realizzato;
-
il trustee è solo un prestanome che è stato privato
delle proprie prerogative tipiche, rimanendo assoggettato ed in tal senso
eterodiretto, dal disponente o dai beneficiari.
Il concetto di “inesistenza fiscale” del trust può, per contro avere
due profili:
-
il profilo delle imposte sui redditi;
-
il profilo delle imposte indirette.
Secondo il primo profilo, un trust è considerato inesistente dal punto
di vista fiscale delle imposte sui redditi laddove non è riconosciuto quale soggetto
passivo di imposta, con la conseguenza che i redditi sono attribuibili in capo
al soggetto interponente, disponente o beneficiario che sia. Per capire questo
concetto possiamo richiamare la circolare 61/E sopra menzionata, la quale ha
introdotto una serie di casistiche specifiche di interposizione (rectius
inesistenza dal punto di vista delle imposte dirette) a causa delle quali
l’Agenzia delle Entrate qualifica determinati trust come privi di soggettività
fiscale passiva. Ad esempio, secondo le specifiche indicazioni della circolare
61/E, se e laddove il disponente o il beneficiario decidessero di riservarsi
delle facoltà o alcuni poteri decisionali sul trust fund o sulla durata
del trust medesimo, o comunque mantenessero anche indirettamente un potere di
ingerenza sul trustee, l’Agenzia non riconoscerebbe tali trust come soggetti
passivi di imposta, in tal modo facendo confluire tutti i redditi prodotti dai
beni in trust in capo al disponente o ai beneficiari ed imponendo ai medesimi
di dichiararli ai fini delle imposte sui redditi.
Ora, è importante far notare che:
-
tutti i trust giuridicamente inesistenti sono
sempre anche privi di soggettività passiva fiscale e dunque anche interposti ai
fini dei redditi.
-
esistono, però, dei trust esistenti da un punto
di vista giuridico che rispettano i criteri di validità civilistica e le norme
di riconoscibilità di cui alla Convenzione dell’Aja, che posseggono alcune
caratteristiche delineate nelle indicazioni della circolare 61/E e sono tali da
essere considerati interposti ai fini delle imposte dirette.
Ed il concetto di inesistenza fiscale ai fini delle imposte indirette
come si declina?
Possiamo dire, seguendo il precedente schema, che un trust che si
qualifichi come giuridicamente insistente sarà inesistente anche fiscalmente sia
ai fini delle imposte dirette, sia ai fini delle imposte indirette: pertanto i
beni in trust dovrebbero cadere in successione al momento della morte di
questo.
Possiamo affermare dunque che:
I trust interposti in quanto giuridicamente inesistenti sono sempre:
-
inesistenti fiscalmente ai fini delle imposte
sui redditi, cioè privi di soggettività fiscale: i redditi sono sempre
attribuiti all’interponente;
-
inesistenti fiscalmente ai fini delle
indirette: i beni in trust dovrebbero cadere in successione alla morte del
disponente.
Ci sono però trust giuridicamente esistenti e validi civilisticamente
che:
-
non rispettano alcuni requisiti di cui alla
circolare 61/E e sono qualificati dall’Agenzia delle Entrate come inesistenti
fiscalmente ai fini dei redditi;
-
ci domandiamo ora: che succede a questi trust
ai fini delle imposte indirette al momento della morte del disponente? Prevale
la validità giuridica del programma negoziale del disponente (stante la
validità civilistica del trust) oppure la qualificazione di inesistenza fiscale
ai fini dei redditi trascina con sé anche l’inesistenza fiscale ai fini delle
imposte indirette?
Finora, la tesi prevalente, confermata dalla Risposta n. 359/2022 dell’Agenzia
delle Entrate era che prevalesse la validità giuridica del trust, creandosi un
doppio binario fiscale con diversi esiti per le imposte sui redditi e le
imposte indirette.
L’interpello n. 359/2022 recitava infatti:
“Al riguardo, assume rilievo la circostanza
che al momento del decesso del Disponente la quota di partecipazione nella
Società [il bene in trust] non faceva parte del
patrimonio dello stesso in quanto segregata nel Trust e " non è
civilisticamente caduta in successione".
Pertanto, nel presupposto
che, sotto il profilo civilistico, le partecipazioni in questione non siano
cadute in successione, ma facciano tuttora parte del patrimonio segregato nel
Trust e che il Trustee risulti il titolare della
predetta quota di partecipazione di socio accomandante nella Società, nel
rispetto del vincolo di destinazione impresso dall'Atto istitutivo del Trust
medesimo, si ritiene, ai fini della presentazione della dichiarazione di
successione e della determinazione della relativa imposta, che la predetta
quota non debba essere ricompresa nell'attivo ereditario del de cuius.
Nel caso di specie, la
circostanza che il Trust "non può essere considerato validamente operante
sotto il profilo fiscale" rileva ai soli fini dell'imputazione dei redditi,
comportando che, come risulta dalla stessa risposta, "i redditi formalmente
prodotti dal Trust saranno assoggettati a tassazione in capo al
Disponente".
Dunque, secondo la risposta 359/2022, un trust con validità giuridica
che fosse qualificato come “non validamente operante sotto il profilo
fiscale” era da considerarsi tale solo “ai fini dell’imputazione dei
redditi”, rimanendo valide le disposizioni negoziali indicate nel trust
circa la destinazione dei beni in trust alla morte del disponente: i beni in trust
non cadevano in successione e non scontavano imposta di successione.
La novella introdotta dalla circolare 34/E sembra, invece, cambiare
paradigma: nel postulare l’applicazione dell’imposta di successione ai beni in
trust al momento della morte del disponente per tutti i “trust interposti” l’Agenzia
delle Entrate non pare riferirsi ai trust interposti perché giuridicamente
inesistenti, ma pare riferirsi proprio ai “trust interposti ai fini delle
imposte sui redditi” (che, come detto sopra, sono una categoria ben più ampia).
Pertanto, secondo la circolare 34/E, il trust è interposto ai fini
delle indirette qualora lo sia ai fini delle imposte sui redditi. Da questa
“equalizzazione” del concetto di interposizione tra imposte dirette ed imposte
indirette discende, però, giocoforza che ogni trust interposto ai fini delle imposte
dirette sia anche un trust inesistente dal punto di vista giuridico.
Infatti, se i beni del trust interposto cadono in successione alla
morte del disponente, ciò significa che il programma negoziale indicato dal
disponente nell’atto di trust è invalido civilisticamente ed è a seguito di
questa invalidità che entrerebbero in gioco le usuali norme successorie e la
conseguente imposta di successione.
TRUST ESTERI FISIOLOGICAMENTE INTERPOSTI: I GRANTOR TRUST
Questa “supposta” inesistenza giuridica del trust qualificato come
interposto ai fini delle imposte sui redditi è un problema di portata notevole quando
ci troviamo di fronte al caso di trust esteri il cui disponente sia residente
fiscalmente in Italia. In taluni casi, infatti, questi trust esteri hanno
caratteristiche tali da poter essere considerati come interposti dal punto di
vista delle imposte sui redditi perché non rispettano uno o più delle
indicazioni tipiche di interposizione della circolare 61/E, ma nell’ordinamento
estero in cui sono stati costituiti, tali caratteristiche sono perfettamente
normali e fisiologiche dal punto di vista civilistico.
Un caso tipico di trust aventi queste caratteristiche di
interposizione sono i Grantor Trust: essi sono spesso presenti in paesi
di Common Law, come gli Stati Uniti e l’Australia. Il Grantor Trust è una tipologia di trust
tramite la quale il disponente (grantor) apporta dei beni in trust, nominando
nell’atto istitutivo del trust sé stesso come trustee ed anche come beneficiario, per
tutto il tempo in cui lo stesso disponente rimarrà in vita.
Dopo la morte del disponente il Grantor Trust cambia però “natura”:
nell'atto istitutivo di trust è stabilito, infatti, che alla morte del disponente
la qualifica di trustee sarà assunta da un altro soggetto e che saranno
identificati i beneficiari del trust sia per il reddito, sia per il patrimonio. Il
trust, in tal modo, alla morte del disponente si trasforma da “Grantor Trust”
in “Non-Grantor Trust”: quest’ultimo è il trust dove si realizzerà effettivamente
il programma negoziale e segregativo deciso dal disponente nell’atto istitutivo.
La logica del Grantor Trust è questa: il disponente vuole mantenere il
controllo sui propri assets fino al momento della morte, ma utilizza lo
strumento del trust per gestire in maniera flessibile e personalizzata il
passaggio generazionale derivante dalla sua morte.
Pertanto questo tipo di trust comporta la presenza di una duplice
fase:
- fase 1, del “Grantor Trust”: in questa fase il disponente rimane
completamente “in charge of everything”, sia dal punto di vista
civilistico, sia fiscale. I redditi prodotti dai beni in trust sono infatti
attribuiti e tassati in capo al disponente anche per l’Ordinamento fiscale del
Paese estero.
- fase 2, del “Non-Grantor Trust”: in questa fase, che scaturisce
dalla morte del disponente, il programma negoziale previsto all’interno
dell’atto istitutivo del Grantor Trust, viene a realizzazione, con i relativi
effetti segregativi.
La domanda che ci poniamo è la seguente: come si gestisce un tale trust
dal punto di vista fiscale in Italia qualora il disponente trasferisca nel “Bel
Paese” la residenza?
Non ci sono dubbi su fatto che, finché il disponente è in vita, i Grantor
Trust siano da considerarsi interposti in quanto inesistenti dal punto di vista
delle imposte sui redditi.
Ma cosa succede alla morte del disponente di questi trust esteri? Si
può dar corso al programma negoziale indicato nell’atto istitutivo del trust
oppure, entrando in gioco la previsione di cui alla circolare 34/E, il trust è da
considerarsi invalido dal punto di vista giuridico ed i beni in trust cadono in
successione?
UN CASO PRATICO
Immaginiamo che un residente Americano costituisca un Grantor Trust
Americano e, quando è ancora residente fiscalmente in America, conferisca nello
stesso i seguenti beni:
- alcuni
conti detenuti presso Banche Americane, in cui sono presenti investimenti
finanziari;
- un
immobile sito a Boston.
L'atto di Trust stabilisce che il disponente è anche trustee e beneficiario
del trust, ma che all'atto della sua morte il trustee diventerà un soggetto
terzo di sua fiducia e che i beneficiari a quel punto saranno:
- la
moglie ed i due figli del disponente;
- un
amico d’infanzia del disponente;
Dopo alcuni anni dalla creazione del trust, il disponente si trasferisce
con la famiglia in Italia e ne acquisisce la residenza. Alla morte del
disponente, che avviene in Italia, da residente Italiano e senza alcun
testamento, possiamo prevedere due scenari a seconda di due possibili
impostazioni dell’atto istitutivo.
PRIMO SCENARIO: L’ATTO ISTITUTIVO PREVEDE CHE IL TRUST ESTERO LIQUIDI
I BENI AI BENEFICIARI.
In questo primo scenario ipotizziamo che l'atto istitutivo del trust
preveda che al momento della morte del disponente il trustee del Non-Grantor
liquidi immediatamente gli assets presenti all'interno del Trust e distribuisca
il ricavato ai beneficiari.
In questo primo scenario il Non-Grantor trust esisterebbe solo per il
tempo necessario a vendere i beni in trust ed a distribuire il relativo
ricavato ai beneficiari indicati dal disponente.
Ovviamente questo scenario è ben diverso da quello previsto dalla
circolare 34/E, secondo il quale i beni cadono in successione in quanto il
trust è interposto; le differenze sono infatti le seguenti:
1) I
beneficiari del Non-Grantor trust non coincidono necessariamente con gli eredi
legittimi del disponente, né qualitativamente, né quantitativamente;
2) I
beneficiari titolari di devoluzioni finali di patrimonio da parte del trustee
pagano imposta di donazione e non imposta di successione, come prevedrebbe
invece l’assunto della circolare 34/E;
3) I beni
ricevuti dai beneficiari del Non-Grantor Trust non sono trasferiti loro jure
successionis, come invece avverrebbe in caso di successione.
SECONDO SCENARIO: L’ATTO ISTITUTIVO PREVEDE CHE IL TRUST ESTERO
CONTINUI AD ESISTERE PER 10 ANNI DOPO
In questo secondo scenario ipotizziamo che l'atto istitutivo preveda
che il trust continui ad esistere anche dopo la morte del disponente per un
periodo di 10 anni. L’atto di trust stabilisce altresì che dopo la morte del
disponente:
- il
trustee terzo avrà la massima discrezionalità nel fare le distribuzioni di
reddito e di patrimonio ai beneficiari;
- che i
beneficiari non hanno alcun potere di ingerenza sul trust, né sulla nomina o
revoca del trustee, né tantomeno il potere di revocare il trust.
Considerando la totale discrezionalità del trustee e l’assenza di
qualsivoglia ingerenza da parte dei beneficiari si può affermare che un tale
trust si possa qualificare come opaco ai fini fiscali in Italia: pertanto con
la nascita del Non-Grantor Trust viene meno l’interposizione fiscale ai fini
delle imposte sui redditi del Grantor Trust precedente.
A questo punto, ci si pone la seguente domanda: ma cosa succede al
momento della morte del disponente ai beni in presenti in trust?
Se applichiamo l’assunto della circolare 34/E, tutti i beni del trust cadono
necessariamente in successione in quanto il Grantor Trust è interposto ai fini
delle imposte sui redditi (si fa presente che il fatto che il disponente avesse
la residenza fiscale in America al momento dell’apporto dei beni in trust non
evita l'applicazione delle imposte indirette, in quanto questa esimente non si
applica dato che nessun effetto segregativo si era prodotto al momento
dell’apporto, essendo il trust interposto).
A questo punto ci troviamo però di fronte ad una situazione
paradossale: seguendo
- secondo
l'ordinamento Americano è il trust il titolare e proprietario dei conti Americani
dove sono presenti gli investimenti finanziari, ed è parimenti il trust il
proprietario della casa di Boston;
- secondo
l'ordinamento Italiano, per contro, tutti i beni in Trust sono caduti in
successione e gli eredi legittimi ne sono proprietari pro-quota.
Si verrebbe a creare in tal modo un cortocircuito tra gli ordinamenti
giuridici Americano ed Italiano derivante del fatto che l’estensione al campo
delle indirette del concetto di inesistenza fiscale, trascina con sé
necessariamente anche l’inesistenza giuridica del trust per l’ordinamento
Italiano, la quale va a cozzare con la piena validità giuridica del trust nell’ordinamento
Americano.
Se andiamo ad analizzare la recente prassi in materia, la Risposta n.
176/2023 recepisce il cambio di rotta indicato nella circolare 34/E ed afferma espressamente
che “il presente parere rettifica quello precedentemente reso con la
risposta n. 359 del 2022 concernente l’applicazione dell’imposta di
successione”.
Continua l’Agenzia:
“Nella predetta risposta ad interpello è stato
concluso che il Trust in esame non può essere considerato validamente operante
sotto il profilo fiscale, pertanto, in coerenza con la richiamata Circolare
34/2022 si ritiene che, a seguito del decesso del disponente (interponente), la
predetta partecipazione debba essere inclusa trai beni e i diritti che formano
oggetto della successione e che compongono l’attivo ereditario di cui all’art.
8 del D.Lgs. 346 del
L’interpello in oggetto, dunque, conferma la novella indicata nella
circolare 34/E e smentisce la precedente indicazione della già commentata
Risposta n. 359/2022.
Molto interessante, tuttavia, è il recentissimo Interpello 251 del
2023.
Qui l’istante pone una serie di quesiti inerenti all’interposizione ai
fini delle imposte dirette di un “Family Trust” Australiano.
Questi in estrema sintesi i fatti:
-
Il Family Trust è stato istituito in Australia
nel 1979 dal padre (disponente);
-
l beneficiari del trust sono il disponente,
sua moglie e i suoi tre figli;
-
Trustee è una società che è amministrata dallo
stesso disponente;
-
Il patrimonio è costituito da immobili siti in
Australia e da disponibilità finanziarie presso istituti di credito in
Australia.
-
Dal 2014 il disponente trasferisce la residenza
in Italia fino al giorno del decesso avvenuto nel
- Con il
testamento, il disponente ha nominato due figli come suoi ''sostituti'' per
l'esercizio delle funzioni relative al Family Trust, sostanzialmente
attribuendo loro l'incarico di trustee.
- Il
disponente-de cuius, oltre ai beni inseriti all’interno del Family Trust, era
proprietario a titolo personale anche di altri beni:
- alcuni
immobili;
- delle quote
della società che svolge l’incarico di trustee del Family Trust.
L’Agenzia delle Entrate, richiesta di un parere circa l’interposizione
ai fini delle imposte sui redditi, precisa quanto segue:
“Con riferimento al Family Trust rilevano i
seguenti elementi:
-
il Family Trust è una struttura meramente
interposta rispetto al disponente, finché in vita, in ragione della
contemporanea assunzione dei ruoli di Trustee, di Disponente e di Beneficiario…
;
-
l'Istante e il Figlio A, già Beneficiari del
Family Trust, in sede di testamento sono stati nominati ''sostituti'' del de
cuius per l'esercizio delle funzioni relative al Family Trust ovvero, nella
sostanza, co-trustee del predetto trust.
Sulla base di quanto rappresentato, stante il ruolo di Beneficiario e
di co-trustee, …, si ritiene che la natura di soggetto interposto del Family
Trust in capo al disponente non muta nemmeno rispetto all'Istante subentrato
nella posizione del de cuius”.
L’Agenzia giustamente qualifica il Family Trust come interposto ai
fini delle imposte sui redditi, sia nei confronti del disponente, sia nei
confronti dei beneficiari.
Il punto che rileva ai fini della nostra analisi è, però, il seguente
passaggio:
“Ne consegue che:
[PUNTO A]
-
gli immobili acquisiti per successione a
titolo personale dall'Istante rilevano ai fini delle imposte sui redditi
secondo gli articoli 67, comma 1, lettera f), e 70 del Tuir, dell'IVIE, nonché
ai fini degli obblighi di monitoraggio fiscale, a decorrere dalla data di apertura
della successione;
-
le azioni della società estera che svolge
l'incarico di trustee, acquisite per successione a titolo personale,
rilevano ai fini delle imposte sui redditi e dell'eventuale IVAFE, nonché ai
fini degli obblighi di monitoraggio fiscale, a decorrere dalla data di apertura
della successione.
[PUNTO B]
Con riferimento ai beni in trust, in
linea con quanto chiarito nelle sopra richiamate circolari n. 61/E del 2010 e
n. 34/E del 2022, sia nel caso del Family Trust che nel caso del Testamentary
Trust, il reddito di cui ''appare titolare'' il trust deve essere
assoggettato ad imposizione, per ''imputazione'', pro quota direttamente in
capo all'interponente residente in Italia secondo le categorie previste
dall'articolo 6 del Tuir.”
L’Agenzia delle Entrate, pur non dicendolo esplicitamente, in questo
passaggio indirettamente pare smentire l’assunto della circolare 34/E: infatti,
se il Family Trust è interposto ai fini dei redditi e l’interposizione ai fini
dei redditi vale anche ai fini delle imposte indirette, i beni inseriti nel Family
Trust (di cui al [PUNTO B]) sarebbero dovuti cadere in successione,
esattamente come gli immobili e le azioni detenute a titolo personale dal de
cuius di cui al [PUNTO A], che sono invece “acquisite per successione a
titolo personale” da parte degli eredi.
L’applicazione “integrale” della tesi della circolare 34/E avrebbe,
infatti, dovuto portare l’Agenzia ad affermare che tutti i beni presenti in nel
Family Trust, in quanto interposto ai fini dei redditi, dovevano cadere in
successione ed erano acquisiti per successione a titolo personale dagli eredi.
Invece l’Agenzia pare non riuscire a sostenere la tesi che i beni del
Family Trust siano caduti in successione e ciò, a nostro avviso, è determinato
dal fatto che gli stessi beni dal punto di vista civilistico sono validamente
di proprietà del Family Trust per l’ordinamento Australiano, nonché presenti in
Australia.
Si fa notare anche che:
- l’utilizzo al [PUNTO B] della formula “Con riferimento ai beni in
Trust…” conferma che dopo la morte del disponente i beni sono ancora in
trust, affermando dunque la validità giuridica del programma negoziale del trust.
- relativamente ai beni in trust, l’Agenzia delle Entrate si “limita”
a sostenere che il Family Trust è interposto ai fini delle imposte sui redditi
anche dopo la morte del disponente, cioè nei confronti dei beneficiari: in tal
modo conferma che validità giuridica e interposizione ai fini delle dirette coesistono
ma non comportano la caduta in successione dei beni in trust. Per contro, se i
beni fossero caduti in successione non era necessario affermare che il Family
Trust era interposto ai fini dei redditi, dato che i beni sarebbero già stati
formalmente di proprietà degli eredi.
Il punto centrale ci pare essere che la validità giuridica del trust e
del suo programma negoziale per l’ordinamento Australiano sembra “inibire” di
fatto la caduta in successione dei beni in esso presenti, indipendentemente
dalla sua qualifica di trust interposto ai fini delle imposte sui redditi.
Pertanto, per quanto il quesito non riguardi specificamente la caduta in successione dei beni in trust e per quanto l’Agenzia delle Entrate si è ben guardata dall’affrontare il tema di cosa succede ai fini delle indirette, sembrerebbe che il tenore della risposta sia da interpretarsi nel senso di una certa difficoltà ad applicare integralmente il postulato della circolare 34/E al trust estero, lasciando il tema comunque aperto a diverse interpretazioni che necessiteranno di un chiarimento.